MANTOVA – Le mani dell’ ‘ndrangheta sulla ricostruzione post sisma: undici indagati, di cui 10 già raggiunti da custodia cautelare ed uno ancora ricercato, ritenuti responsabili a vario titolo, secondo l’impostazione accusatoria accolta dal GIP di “concussione, corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, intestazione fittizia di società”, aggravati dalle finalità mafiose, per aver agevolato la cosca ‘ndranghetistica Dragone di Cutro. Questo i risultato dell’operazione “Sisma” diretta e coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Brescia, che hanno dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal GIP del Tribunale di Brescia e a decine di perquisizioni presso abitazioni e studi tecnici.
Indagini che riportano alla cosa Dragone, con cui alcuni dei principali gli indagati sarebbero imparentati. Un’ampia operazione che coinvolge Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e Calabria.
Al centro dell’indagine il nipote di uno storico boss cutrese, pubblico ufficiale con la carica di tecnico istruttore presso i comuni compresi nel cosiddetto “cratere sismico” della provincia di Mantova (Poggio Rusco, Borgo Mantovano, Magnacavallo, Sermide e Felonica), con compiti istruttori, di verifica, di rendicontazione e di autorizzazione ai pagamenti dei contributi a fondo perduto stanziati da Regione Lombardia per gli immobili danneggiati dal terremoto del 2012.
Le diverse figure professionali, così come i beneficiari dei finanziamenti, si sarebbero interfacciati proprio al tecnico istruttore – il Giuseppe Todaro, 36enne originario di Crotone ma residente a Reggiolo – che secondo un collaudato schema criminoso, consistente nella corresponsione di indebite somme (in genere pari a circa il 3% del contributo elargito), per garantirsi la trattazione della propria pratica in violazione dell’ordine cronologico e con aumenti – talora indebiti – dell’importo del contributo pubblico a fondo perduto (in un caso attestatosi a 950.000,00 anziché 595.000,00 come originariamente stabilito).
Le contestate ipotesi di concussione prevedevano che il contributo pubblico venisse elargito ai richiedenti solo a condizione che costoro affidassero i lavori di ricostruzione a delle società facenti capo al citato tecnico istruttore e al padre di questi. Le indagini avrebbero messo in evidenza che tali società, che di fatto sarebbero state gestite dal padre del pubblico ufficiale, erano intestate a prestanomi per evitare il diniego di iscrizione nella c.d. white list.
Ad ora sono in tutto 11, come detto, i soggetti indagati raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare (uno ancora attivamente ricercato), di cui 4 in carcere e 5 agli arresti domiciliari, fra cui architetti e ingegneri, imprenditori e soggetti del sistema bancario.
In carcere sono, dunque finiti: Giuseppe Todaro (Crotone, 2.9.1986); Raffaele Todaro (Cutro, 13.5.1962); Rossano Genta (Ostiglia, 7.12.1956); Felice D’Errico (Villa di Briano, 6.7.1965); Giuseppe Di Fraia (Casaluce, 7.4.1967). Ai domiciliari, invece: Pierangelo Zermani (Medesano, 18.6.1957); Monica Bianchini (Ostiglia, 5.1.1965); Antonio Guerriero (Napoli, 25.10.1974); Enrico Ferretti (Reggio Emilia, 10.2.1975); Carlo Formigoni (Revere, 2.10.1950). Indagato Francesco Garofalo (Boscotrecase, 6.8.1968).
Gli approfondimenti investigativi, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Brescia e condotti dai Carabinieri di Mantova sono stati resi possibili da prolungate attività tecniche d’intercettazione, anche con captatore informatico, dai servizi di osservazione e pedinamento e dalla disamina della documentazione amministrativa relativa alle pratiche di finanziamento pubblico.
Disposto anche il sequestro delle società fittiziamente intestate, delle provviste bancarie e di beni mobili e immobili per un valore di circa 2 milioni di euro, costituenti il ritenuto prezzo e il profitto dei reati contestati.
Parallelamente la Guardia di Finanza di Mantova ha concorso con i Carabinieri nell’esecuzione di perquisizioni a carico di alcuni degli odierni indagati.
L’indagine è arrivata dopo la precedente indagine “Pesci”, che aveva portato ii Carabinieri di Mantova e la DDA di Brescia a rilevare gli interessi della cosca Grande Aracri nell’area mantovana-reggiana.